Onorevoli Colleghi! - Il principio di autodeterminazione nel campo delle cure mediche e la consapevolezza che ogni persona ha il diritto di essere protagonista delle scelte riguardanti la sua salute, sia nel senso di accettare sia nel senso di rifiutare l'intervento medico, sono andati progressivamente affermandosi nella cultura della nostra società. Tale principio ha trovato un primo fondamentale riconoscimento già nell'articolo 32, secondo comma, della nostra Carta costituzionale, che ha sancito che «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».
      La Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta ad Oviedo il 4 aprile 1997, e resa esecutiva in Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145, ha poi riaffermato che qualsiasi intervento medico effettuato senza il consenso della persona deve ritenersi illecito (articolo 5).
      I medesimi princìpi si ritrovano nel Codice di deontologia medica italiano del 1998 che, dopo aver precisato (articolo 30) il diritto del malato a ricevere la più idonea informazione da parte del medico, afferma (articolo 34) che il medico «deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell'indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona».
      Anche la giurisprudenza italiana ha avuto modo di chiarire che il rifiuto di un trattamento da parte della persona interessata deve essere rispettato, indipendentemente

 

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dalla valutazione dell'operatore sanitario in merito al «bene» del paziente, precisando che «nel diritto di ciascuno di disporre lui e lui solo, della propria salute ed integrità personale, pur nei limiti previsti dall'ordinamento, non può che essere ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche lasciando che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme conseguenze: il che non può essere considerato come il riconoscimento positivo di un diritto al suicidio, ma è invece la riaffermazione che la salute non è un bene che possa essere imposto coattivamente al soggetto interessato dal volere o, peggio, dall'arbitrio altrui, ma deve fondarsi esclusivamente sulla volontà dell'avente diritto, trattandosi di una scelta che (...) riguarda la qualità della vita e che pertanto lui e lui solo può legittimamente fare» (Corte d'assise di Firenze, sentenza n. 13 del 18 ottobre 1990).
      Appare evidente come il consenso o il rifiuto espresso dalla persona nei confronti di un qualsiasi trattamento, sia diagnostico sia terapeutico, possa rappresentare un autentico atto di autodeterminazione, libero e consapevole, solo se la persona riceve un'informazione completa e corretta della diagnosi, della prognosi e di ogni altro elemento che concerna la scelta che la persona stessa è chiamata a effettuare (cosiddetto «consenso informato»).
      La citata Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina afferma (articolo 5) che la persona deve ricevere «preventivamente un'informazione adeguata in merito allo scopo e alla natura dell'intervento nonché alle sue conseguenze ed ai suoi rischi». Anche il ricordato Codice di deontologia medica specifica che «il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. (...) Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta» (articolo 30), precisando quindi (articolo 32) che il medico «non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato (...)» e che «in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona».
      Tuttavia, nonostante il preciso dettato costituzionale e l'affermazione del principio di autodeterminazione recata dalle regole deontologiche mediche, la pratica clinica nel nostro Paese continua ad essere permeata da una scarsa o sporadica informazione del paziente e dalla frequente violazione della richiesta di consenso alle procedure diagnostiche o terapeutiche alle quali la persona malata è sottoposta. Tale atteggiamento, che vede spesso una sorta di complicità «a fin di bene» fra il medico curante e i familiari come malintesa forma di protezione della persona malata, determina di fatto la frequentissima esclusione della persona stessa dalla possibilità di intervenire nei momenti decisionali cruciali, spogliandola di un suo essenziale diritto, e crea, sotto il profilo psicologico, un penoso stato di isolamento del malato.
      Il diritto di autodeterminazione della persona per quanto attiene alle scelte relative alle cure incontra poi limitazioni assolute nelle circostanze in cui la persona venga a perdere la capacità di decidere ovvero di comunicare le proprie decisioni. Per garantire il diritto all'autodeterminazione anche in questi casi, si rende necessario prevedere uno strumento nuovo - non contemplato dal nostro ordinamento giuridico vigente - che consenta alla persona, finché si trova nel possesso delle sue facoltà mentali, di dare disposizioni per l'eventualità e per il tempo nel quale tali facoltà fossero gravemente scemate o scomparse, disposizioni vincolanti per gli operatori sanitari e in generale per ogni soggetto che si trovi implicato nelle scelte mediche che riguarderanno la persona. A questo proposito, il già citato Codice di deontologia medica si è pronunciato (articolo 34) a favore delle direttive anticipate, disponendo che «il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di
 

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grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso».
      Dalla considerazione di queste problematiche trae origine la presente proposta di legge sulle «volontà anticipate», la quale mira ad offrire al cittadino-persona l'esplicita fondazione giuridica del suo essenziale diritto all'autodeterminazione, inteso non più come un dovere dell'operatore sanitario, ma come un positivo riconoscimento, nonché gli strumenti giuridici sostanziali e procedurali per vedere garantito tale diritto anche nel caso di perdita della capacità di decidere o di esprimere la sua decisione, consentendogli di disporre anticipatamente in merito al trattamento medico desiderato.
      Con gli articoli 1 e 2 la presente proposta di legge si prefigge di dare una compiuta regolazione al principio del «consenso informato». In particolare, nell'articolo 1 l'informazione corretta, completa e comprensibile su tutti gli aspetti diagnostici e terapeutici che possono riguardare la persona è espressa come oggetto non solo e non tanto di un obbligo del medico, quanto, piuttosto, di un diritto della persona stessa, un diritto al quale la persona può ovviamente rinunciare, fermo restando che solo la rinuncia esplicita può giustificare il venire meno dell'obbligo di informazione in capo al medico, al quale è consentito solamente di adottare, ove le circostante lo suggeriscano, le opportune cautele nella comunicazione.
      Nell'articolo 2 è ribadita, rispetto alle decisioni relative ai trattamenti sanitari, la piena autonomia di scelta del paziente, le dichiarazioni di volontà del quale, formulate in stato di capacità di intendere e di volere («capacità naturale»), devono essere rispettate anche quando tale capacità sia venuta meno. Poiché i problemi possono sorgere soprattutto in conseguenza del rifiuto nei confronti dei trattamenti suggeriti o prevedibili nello sviluppo della patologia, si è ritenuto di precisare che il rifiuto deve essere rispettato anche se dalla mancata effettuazione dei trattamenti stessi derivi un pericolo per la salute o per la vita, specificando che il medico è esentato da ogni responsabilità conseguente al rispetto della volontà del paziente, che per questa ragione si è ritenuto debba risultare da atto scritto firmato da lui stesso, dalla cartella clinica nel caso di ricovero ospedaliero del paziente capace ovvero dalle «volontà anticipate» con le formalità previste negli articoli successivi.
      Su questa disposizione si fonda la validità giuridica delle «volontà anticipate», alla formulazione e all'applicazione delle quali sono dedicati gli articoli 3 e 4.
      L'articolo 3 prevede che, oltre a formulare le «volontà anticipate», la persona possa indicare un altro soggetto di fiducia che, nel caso di perdita della capacità naturale, eserciti in sostituzione i diritti e le facoltà relativi all'esercizio del diritto al consenso informato, lasciando libera la persona di nominare il sostituto e di determinare le sue future decisioni mediante indicazioni o disposizioni di carattere vincolante. La delicatezza dell'incarico e le responsabilità che ne possono derivare hanno suggerito di prevedere una forma specifica, peraltro semplificata, sia per il conferimento sia per l'accettazione (articolo 3, comma 3).
      È previsto, inoltre, che qualora una persona venutasi a trovare in stato di incapacità naturale irreversibile non abbia preventivamente nominato il sostituto di cui all'articolo 3, comma 2, il giudice tutelare provveda alla nomina (articolo 3, comma 4).
      L'articolo 4, infine, prevede le modalità per risolvere le eventuali divergenze che dovessero intervenire tra le scelte operate dal sostituto nominato dalla persona con le «volontà anticipate», ovvero in mancanza dal giudice tutelare, e le scelte dei curanti. Si è ritenuto di affidare la soluzione della controversia al giudice, con un procedimento che si richiama, semplificandole, alle procedure cautelari previste dal codice di procedura civile.
      È stato comunque previsto che, ove sia stata validamente espressa, la volontà della persona debba in ogni caso vincolare la decisione giurisdizionale (articolo 4, comma 3).
 

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